La Silicon Valley, un territorio nelle parole e nelle immagini del fotografo Ramak Fazel
Centoventotto immagini raccontano l’anima di uno dei luoghi più segreti al mondo. Una nuova tappa del progetto No_Code di Tod’s commissionata a un antropologo con la macchina fotografica al collo.
Un viaggio on the road alla ricerca della vita quotidiana. Quella dietro le quinte della culla del Big Tech. La Silicon Valley. Uno dei principali poli di investimento tecnologico e tra le realtà più protette al mondo, dove falchi addestrati attaccano i droni che sorvolano alcune aree. E, come la non lontana Hollywood, assurta a mito e business.
La Valle del Silicio nasce come espressione, utilizzata per la prima volta nel 1971 dal giornalista Don Hoefler per descrivere l’allora nascente fenomeno di un gruppo di avventurosi californiani che tentavano di togliere il primato del controllo sui microchip alle grandi corporazioni del Texas, imponendo la loro rivoluzionaria idea di personal computer. Cresce, poi, come un “non luogo”. Inesistente all’anagrafe geografica, non indicata sulle mappe, né annunciata da segnaletica stradale. Eppure, nella Silicon Valley pulsa la vita reale. E, soprattutto, la quotidiana normalità, al di là del mistero che l’avvolge. I suoi abitanti vanno dal barbiere, girano in bicicletta, mangiano al ristorante, guardano la tv seduti sul divano e, persino, decorano la porta del garage a Natale.
È proprio alla scoperta del lato umano e intimo di questo lembo di terra, nella baia californiana di San Francisco – dove sono nate le pioniere Apple, nel 1976, e Google, nel 1998 – che Ramak Fazel, “un antropologo con la macchina fotografica al collo” come è stato definito, ha scattato una miriade di immagini in sei settimane. Un’istantanea globale di un’area ripresa nel suo day by day nelle ultime settimane pre-Covid.
Una missione fotografica, diventata libro, commissionata al fotografo iraniano-americano dal Gruppo Tod’s – uno dei principali player nel panorama internazionale del lusso, recentemente alla ribalta per l’ingresso nel CdA dell’influencer Chiara Ferragni – che nel novembre 2018 aveva lanciato No_Code, un progetto culturale ibrido basato sulla fusione tra tradizione artigianale italiana e tecnologia emergente, interpretando e traducendo i cambiamenti sociali. Un laboratorio d’innovazione dedicato a sperimentatori, visionari, creativi, designer e a tutti coloro che sognano di riscrivere il mondo.
Nei 128 scatti selezionati per il volume Silicon Valley. No_Code Life, tutti accompagnati da didascalia, veniamo a conoscere i vicini di casa di Steve Jobs in Los Altos, scopriamo la lapide in memoria del filantropo e leader civile della Silicon Valley Tom W. Ford, battutosi per portarvi i migliori venture capitalist e tecnici; ci imbattiamo nei Tech Bus che ogni giorno portano i pendolari da San Francisco nei vari campus tecnologici. Poi, le insegne delle tante compagnie, come quella di Facebook, a Menlo Park, che sul retro ha ancora il logo del precedente inquilino, la Sun Microsystems; i vecchi cartelli che ricordano quando l’area era zona agricola e mineraria; uno dei Dive bar di Cupertino, dove gli ingegneri della Apple vanno a giocare a biliardo o a freccette a fine giornata con gli habitué locali. Oppure, i segni a gessetto tracciati a terra e sugli pneumatici delle auto a ricordare le rigide restrizioni di parcheggio nelle aree residenziali, non oltre le 72h – la foto preferita dello stesso Fazel per la composizione “delle forme triangolari che si sovrappongono al cerchio perfetto della ruota”.
Le foto parlano da sé in quanto a soggetto ed emozione. Ma tecnicamente? Fazel ha usato un sistema di luce artificiale. Una tecnica che usa da vent’anni. “Persino in perfette condizioni di luce naturale, sentivo l’urgenza di una luce aggiuntiva – spiega. “Ho sperimentato con la luce come una forma di intrusione forzata nella scena. La mia relazione costante con la macchina analogica e il kit luci mi ha permesso di ottenere un risultato visivo costante. Fondamentale nel mio lavoro di fotografo. Ho intenzionalmente resistito alla seduzione delle ultime macchine digitali per la mia Rolleiflex del 1966 con doppia lente. Mi relaziono col soggetto in modo più concertato, preoccupandomi raramente del setting. L’analogico non è un computer. Il processo di combinare pellicola e luce artificiale richiede pazienza, per non dire dell’apprezzamento dell’imperfezione”.
La Silicon Valley, una delle comunità più ricche al mondo, non è però – come forse nell’immaginario di molti – un luogo ultratecnologico solo perché si produce alta tecnologia. O dove tutto è meccanizzato e la sola macchina guidata è la Tesla. È un luogo come un altro, di provincia, quasi anonimo. Come ci mostrano queste immagini. E come ricorda Fazel, raccontandoci che se dopo un viaggio si porta sempre a casa un ricordo, il suo è “la comprensione che l’apparente favolosa vita dei lavoratori del tech potrebbe essere qualcosa di meno favoloso”.
Perché, dunque, proprio la Silicon Valley come nuova tappa di questa avventura del Gruppo marchigiano? Semplicemente per un’affinità di spirito. Perché questo non luogo, frutto della controcultura degli anni Sessanta e Settanta e votato alla massima tecnologia d’avanguardia, incontra la natura composita di No_Code, fatta di artigianalità e tecnologia. Affinità elettive contemporanee.
Titolo: Silicon Valley. No_Code Life.
Visual essay di Ramak Fazel
Prefazione: Michele Lupi
Casa Editrice: Rizzoli International
Anno di pubblicazione: 2021
Pagine: 192