Neri & Hu: l’accoglienza rifletta sul concetto di “spazio personale”
Apertura, inclusione, socialità, riconversione, tradizione, memoria, identità, sostenibilità: questi i campi di indagine verso cui traghettare la progettazione dell’hospitality secondo il celeberrimo studio con sede a Shanghai e Londra.
Sfidare concezioni consolidate (ma polverose) o, al contrario, tendenze effimere, aprirsi alla contaminazione e alla ricerca: questo, da sempre, l’approccio alla progettazione dell’hospitality di Lyndon Neri e Rossana Hu. Mai scontato né semplicemente funzionale o decorativo, il loro obbiettivo è creare narrative inedite su diversi livelli – visivi, funzionali ed emotivi – che permettano all’hotel di superare il proprio aspetto tradizionalmente e meramente operativo per andare verso una dimensione più inclusiva di altri elementi culturali. E, forse non troppo a sorpresa, si dichiarano interessati a un aspetto “domestico” nel progetto dell’ospitalità, in cui ritrovare il comfort e la familiarità della propria casa, senza rinunciare all’unicità ed “estraneità” di spazi nuovi. In questa era post-pandemica, la riflessione si concentra, inoltre, sul confine tra esterno e interno, luce e oscurità, privacy e socializzazione e sui concetti di riconversione e riuso, sostenibilità e rigenerazione urbana. Nell’intervista, le loro riflessioni sull’evoluzione dell’hotellerie e sul futuro di una disciplina la cui aspirazione è coniugare e sintetizzare linguaggi, culture e suggestioni di un mondo, nonostante tutto, sempre più aperto e interconnesso.
Gli albergatori le direbbero che le stanze d’albergo devono essere completamente oscurate. Un tempo, le persone stavano molto bene a casa loro perché le stanze non erano oscurate e potevano convivere con il paesaggio; si svegliavano quando era mattina. Oggi, con le tende oscuranti, a volte non ci svegliamo prima delle 11, poi la sera non riusciamo a addormentarci e prendiamo sonniferi. Stiamo diventando esseri anormali.
Il problema del design alberghiero come lo conosciamo è che le persone entrano nelle loro stanze e, semplicemente, si chiudono la porta alle spalle. Si chiedono se la luce vada bene, se sia gradevole il rivestimento personalizzato. Sono desiderose di comfort. Si tratta essenzialmente di fornire comodità e décor – carta da parati di miglior qualità, una bella sedia. Tutto questo è corretto, ma non è sufficiente.
Quello che dobbiamo mettere in questione è la nostra idea di spazio personale. Siamo condizionati a pensare che abbiamo bisogno di stare separati dagli altri. Ma l’isolamento ci rende insulari – e io credo che questo sia pericoloso.
Per quanto riguarda il settore alberghiero post covid-19, avremo il desiderio di contatto fisico e di interazione, perché ci sono stati preclusi per così tanto tempo. Credo che cambierà la definizione del vero significato di comunità.
A noi piace mettere in dubbio nozioni scontate. Spesso mi chiedo se davvero sia necessario rispettare la privacy della stanza d’albergo. Ad esempio, sarebbe possibile pensare a stanze aperte, in modo da permettere alla luce naturale di filtrare dall’alto, e da non costringere gli ospiti ad accendere sempre le luci nelle loro stanze?
Crediamo che i cambiamenti saranno focalizzati su due aree importanti: organizzazione e tecnologia. L’organizzazione degli alberghi diventerà più varia e inclusiva. Vedremo alberghi ospitare anche “altre” funzioni, la cui gestione tradizionalmente non coinvolgeva. La svolta tecnologica, invece, si è affermata già nel modo in cui Uber e Airbnb hanno trasformato il settore viaggi, e questo cambiamento proseguirà e rivoluzionerà l’idea tradizionale del design per l’ospitalità.
Così come i modernisti scartarono l’ornamento sulla base di considerazioni di ordine igienico, oggi i designer tendono a utilizzare materiali antibatterici, facili da sanificare, e a fare ampio uso di tecnologie contactless automatizzate. Lo spazio pubblico impone standard sanitari adeguati al XXI secolo, sistemi di ventilazione efficienti per la rimozione dell’aria contaminata.
Diventeranno la norma quelle idee di ospitalità che sapranno comunicare un senso del luogo e far sentire il cliente come in famiglia. Acquisteranno importanza gli spazi comuni. Le nuove generazioni, interessate ai social media, porterà in primo piano il bisogno di stare in una comunità.
La differenza è grande, soprattutto per quanto riguarda i servizi. In oriente il design dell’ospitalità privilegia i servizi, mentre in occidente si tende a valutare l’efficienza.
La nostra ambizione è aprire il design dell’ospitalità a questioni che non si limitino alle “tendenze di stile”, puntiamo a un atteggiamento critico nei confronti di certe problematiche, tra cui il turismo consumistico, la rappresentazione dell’identità culturale, la nostalgia per il passato o la passione per le vestigia. Esistono problematiche globali che cerchiamo di affrontare con l’architettura e il design.
Questo è un punto fondamentale per noi da sempre. Abbiamo dovuto occuparci di adattamento e riuso, vecchio e nuovo, di tradizione, memoria, identità, rigenerazione urbana e sostenibilità.